La vita
9 marzo 1502
21 maggio 1565
9 marzo 1502
21 maggio 1565
Margherita Antoniazzi nacque il 9 Marzo 1502 a Cantiga di Costageminiana, attualmente in comune di Bardi, diocesi di Piacenza, da Carlo Antoniazzi detto dei Carlotti e Bartolomea Merizzi, poveri contadini. Ebbe una sorella, Antonina, andata sposa ad un membro della famiglia Bracchi di S. Giustina val Lecca e un fratello, Luchino, che rimase a coltivare il càmpicello paterno.
Orfana di padre, all’età di 12 anni fu mandata a servire come pastorella di pecore dapprima a Cabianca presso Varese Ligure, quindi a Sarizzuola, da Sabbadino Strinati, poco lontano da casa.
Incominciò in quel tempo ad essere impressionata dal grande numero di più poveri di lei, costretti a vagare lontani dalle loro case alla ricerca di un tozzo di pane. Intraprese così l’iniziativa di offrire in elemosina la maggior parte delle provviste,
che le venivano date per la sua colazione.
A Sarizzuola iniziò ad avere atteggiamenti mistici. I testimoni dei processi per la causa di beatificazione riferirono che era soggetta a rapimenti estatici, durante i quali vedeva la Beata Vergine biancovestita, dalla quale, pur non sapendo né leggere ne scrivere, imparo a reccitare la narrazione della Passione del Signore, il Padre nostro e l’Ave Maria.
Comincio cosi a dire il Rosario sgranando in continuazione la corona. Risultato dei suoi rapimenti estatici fu un inasprimento del suo spirito di penitenza, abituandosi a riposare su fascine o su rami spinosi quando concedeva brevi spazi di tempo al sonno.
Frutto della sua esperienza mistica fu anche la realizzazione della chiesa che venne dedicata alla B. Vergine Annunziata. Secondo i testimoni del processo, la Madonna stessa le avrebbe chiesto di erigere il tempio in suo onore, assicurandole il suo aiuto per superare le difficoltà che si sarebbero infraposte. Queste non tardarono, i compaesani la schermivano, il parroco della Costa, che non vedeva di buon occhio sòrgere a due passi dalla sede parrocchiale un’altra chiesa, ricorse al conte Agostino Landi, padrone di Bardi perché impedisse l’opera.
Margherita non si scompose, proseguì con fede e coraggio, resto anzi fama presso gli abitanti di Costageminiana di fatti portentosi, accaduti per smuovere gli increduli ed i contrari.
Al conte Landi rispose, con atteggiamento umile ma fermo che, se egli non avesse cambiato idea, l’edificio sarebbe sorto sul monte Lana, fuori della sua giurisdizione. Colpito dalle sue parole semplici ed ispirate, Agostino cambiò immediatamente tono, non solo la confortò a proseguire l’opera, ma le offrì parte del materiale necessario, gli stipiti della porta, legname, pietre, – ricuperandolo dalla fortezza atterrata di Pietra Cervara.
La costruzione del complesso monastico ebbe inizio nel 1525 e fu presumibilmente ultimata nel 1531. La chiesa fu consacrata il 21 Maggio 1533. Anche il piccolo monastero era pronto per lo svolgimento della vita di una piccola comunità religiosa autonoma, completato di una cisterna, da cui tuttora si attinge ottima acqua, che sgorga entro la roccia viva, fatta scavare dalla Devota contro il parere di tutti gli esperti.
Nel medesimo giorno della consacrazione della chiesa Margherita entrò ufficialmente nel monastero assieme alla sua prima consorella Catella Capiani. In seguito si aggiunsero Maria Bracchi, nipote della Devota, perché figlia di sua sorella Antonina, Domeneghina Ghioni, detta la Tornola, a cui fu affidato l’ufficio di cuoca e Angelina Antoniazzi. Ad esse se ne aggiunsero altre, ma il loro numero non supero mai la decina.
La piccola comunità non era guidata da una regola particolare, ma seguiva i consigli e gli esempi della fondatrice. Le religiose vestivano un saio lungo fino ai piedi, con una pazienza ed il velo bianco, emettevano i voti di povertà, castità ed obbedienza, e conducevano una vita penitente ed esemplare, praticando le virtù cristiane e frequentissimi digiuni, come risulta dalle numerose ispezioni vescovili. Preghiera assidua, lavoro ed esercizio della carità scandivano la giornata delle religiose.
Margherita era una persona piccola e minuta, con un volto angelico, fisicamente avvenente, si muoveva zoppicando, poggiandosi ad un bastoncino, a causa dei postumi della peste.
Il suo carattere era dolce, il tratto affabile, lo sguardo mite, trattava con rispetto tutti, accarezzava con amore i bambini, disarmava i malintenzionati con la sua bontà. Era però dotata di un carattere forte e volitivo, che la portava a non indietreggiare di fronte alle difficoltà.
Passava abitualmente la maggior parte della giornata e della notte in preghiera, percio i suoi contemporanei la chiamarono la “Devota”. Pochissimo era il tempo da lei dedicato al sonno, a cui si abbandonàva coricandosi sulla nuda terra, o su fascine o sarmenti spinosi.
Praticava in modo eroico tutte le virtu cristiane, ma la sua estrema sensibilità verso i poveri ed i sofferenti la portava all’esercizio smisurato della carità. Dal 1536 al 1565 passarono dal suo parlatorio migliaia di poveri, a cui non negò mai un soccorso materiale ed una parola di conforto.
La sua attenzione verso il dono della vita la rendeva particolarmente attenta ai problemi delle puerpere e dei neonati.
In loro favore lacerava le lenzuola per farne fasce e pannolini, svuotava la dispensa per nutrirli, voleva che le religiose uscissero di clausura per andarle a visitare e curare.
Per oltre trent’anni il monastero e la chiesa dell’Annunziata di Costageminiana furono meta di ininterrotto pellegrinaggio. Da tutto il territorio a largo raggio, da Varese Ligure, Santo Stefano d’Aveto, Riva di Ponte dell’Olio, Vigoleno, oltre che dalle valli del Ceno e del Taro, la gente accorreva per vedere la Devota, raccomandarsi alle sue preghiere, chiedere aiuto materiale e spirituale.
Molti ricevettero la guarigione da malattie dell’anima e del corpo, testimoniate dai vistosi ex voto per grazie ricevute appesi alle pareti della chiesa al tempo della Devota, Grande impressione destarono le guarigioni miracolose ottenute da Marco Antonio Nasalli di Varese, da Lucia, una fanciulla di Vigolèno, da tre ragazzi sordomuti di Santo Stefano d’Aveto, dei quali non fu tramandato il nome.
Alla Devota non ricorrevano solo i poveri, ma anche ricchi e potenti. Il conte Agostino Landi si raccomandava alle sue preghiere, la sua signora donna Giovanna la chiamò al capezzale della figlia donna Giulia gravemente inferma, guarita dopo ché Margherita ebbe pregato, e l’ebbe benedetta. Prima che i figli dei medesimi conti Landi, Manfredo e Claudio, partissero per la Spagna furono portati in pellegrinaggio alla Costa perché ella li benedicesse.
In quei tempi non si concepiva un istituto femminile se non salvaguardato dalla clausura. L’unica vita religiosa ammessa per le donne era quella monastica, tutta dedita al servizio di Dio.
Non poté perciò essere compresa quella instaurata dalla Devota, coraggiosamente al servizio dei fratelli, in nome di un altruismo eroico.
I visitatori ecclesiastici restavano fortemente impressionati dalla santa vita delle religiose, dedite alla preghiera, alla penitenza all’esercizio delle virtù cristiane, soprattutto della carità, ma rimanevano perplessi per il nuovo modo con cui era esercitata, ponendo delle fragili donne in prima linea, su una rischiosa frontiera a contatto anche con accattoni, avventurieri e briganti.
Temevano che la forza dirompente della carità non fosse sufficiente a tutelarle dai pericoli di una società violenta, e preferirono la garanzia delle sbarre e degli alti muri dei monasteri, in cui il rischio tuttavia non risulta minore nel 1500.
Margherita aveva invece intuito che la presenza femminile nella società e nella chiesa, allora inibita e mortificata nell’ambito delle mura domestiche, era necessaria per risolvere quei problemi di povertà materiale e spirituale, che erano alla base del malessere del secolo XVI.
Per lei la sensibilità materna della donna era maggiormente adatta alla promozione ed alla difesa della vita nel suo sbocciare. Non per nulla i miracoli più significativi, ottenuti dalla sua preghiera, furono proprio in favore di bambini e di giovani.
Altra grande intuizione fu quella di togliere i bambini dall’ozio e dall’accattonaggio, per insegnare loro a leggere e a scrivere. Vissuta nel periodo in cui, dopo aver toccato il fondo, la vita cristiana iniziava un cammino di ripresa, sulle orme di un umanesimo cristiano attento all’uomo nelle sue condizioni di maggiore debolezza, con la stessa sensibilità dei SS. Filippo Neri, Gaetano da Tiene, G. Pietro Carafa, Antonio Maria Zaccaria, Girolamo Emiliani ed Angela Merici, realizza la sua ispirazione più geniale cioè la promozione della prima scuola gratuita della montagna e di tutta la Diocesi Piacentina, opera tanto di più rimarchevole se si tiene conto che, al contrario dei citati santi, la Devota fu illetterata e non frequent6 mai gli ambienti più sensibili della città. Gli atti dei processi parlano di due insegnanti: suor Maria Bracchi, nipote di Margherita e suor Margherita Marcellina di Tornolo.
L’iniziativa non fu compresa dai magnati, che nel 1599 trasferirono le religiose a Compiano, ma non fu sufficientemente valutata neppure dai conterranei della Devota. I testimoni stessi del processo di beatificazione pensarono che fosse più convincente la fama dei miracoli, talvolta enfatizzati
dalla fantasia popolare, ed accennarono appena di passaggio alla scuola del monastero.
La Devota chiudeva la sua vita operosa il 21 Maggio 1565, compianta da tutti. I suoi funerali radunarono a Costa da tutte le parti della montagna una folla mai vista.
Espressionè della fede umile e sincera del popolo sano, in un periodo così tribolato della cristianità, aveva illuminato con un grande splendore soffuso di speranza la Chiesa piancentina: “Venerata dai semplici come santa, ricercata dai potenti come consigliera, prodigiosa per eccezionale austerità di vita oltre che per grazie e miracoli attributi a Lei dalla voce popolare, lascio dietro di se un meraviglioso profumo di santita eroica”.
Il 5 gennaio 1618, ad opera del vescovo Claudio Rangoni, iniziarono i processi di beatificazione, interrotti a causa della sua morte, vennero ripresi dal successore Mons. Giovanni Linati il 19 Agosto del 1620.
La Devota è tuttora vivissima nella memoria della gente della montagna, invocata da molti fedeli, numerosi sono i casi di guarigioni e di fatti prodigiosi attribuiti alla sua intercessione. Per questo si e costituito un comitato che si prefisso di chiedere all’autorità ecclesiastica la riapertura dei processi di beatificazione.
Nel 1999 il Vescovo di Piacenza Bobbio Sua Ecc. Luciano Monari ha solennemente riaperto in Bardi il processo di beatificazione che ha chiuso speditamente la fase diocesana nel 2001. Attualmente i documenti sono a Roma presso la Congregazione per le cause di beatificazione ove si spera in tempi ragionevoli Margherita possa giungere agli onori degli altari.